Monete e concetto di rarità: il Tar smentisce il ministero dei Beni e delle attività culturali e innova l’interpretazione della legislazione
Con un’innovativa e interessante motivazione sul concetto di rarità, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Aste Bolaffi e un collezionista numismatico che, nel 2013, dopo essersi aggiudicato all’asta un Augustale, si è visto negare la licenza di esportazione, in virtù del presunto pregio artistico e della rarità della moneta, che di conseguenza è stata notificata, cioè sottoposta a vincolo culturale.
Il 9 ottobre 2018 il giudice amministrativo ha annullato il provvedimento di notifica del ministero dei Beni e delle attività culturali, entrando a fondo nel merito della questione e fornendo precise indicazioni, come mai era avvenuto prima, su cosa debba intendersi per raro, introducendo, di fatto, nuovi elementi interpretativi della legislazione in materia.
Secondo il ministero, si trattava di una moneta di «
grande rarità numismatica, in quanto in bibliografia se ne conoscono, prodotti dalla medesima coppia di coni, solamente due esemplari in collezioni pubbliche italiane (il Museo nazionale di Napoli e l’Istituto italiano di numismatica di Roma
ndr)». La relazione introduceva dunque anche una distinzione tra musei statali e collezioni di altri enti pubblici.
Nell’applicazione del criterio di rarità, il Tar ha però stabilito adesso: «
L’Amministrazione sembra aver fatto riferimento, al fine di stimare la “sufficienza” della dotazione di esemplari già presenti nelle collezioni pubbliche, esclusivamente a quelle di proprietà dello Stato, anziché includere, nella valutazione, anche quelle di altri enti pubblici, come avrebbe dovuto, dato che, quel che rileva, ai fini dell’espressione del giudizio in contestazione, non è l’aspetto soggettivo dell’ente che ha la proprietà della collezione di opere, bensì l’aspetto funzionale, del regime che disciplina detti beni, in particolare la possibilità che sia assicurata un’adeguata fruizione in un sufficiente numero di sedi distribuite sul territorio nazionale».
In un altro passaggio chiave della sentenza, nel riconoscere la discrezionalità dell’amministrazione competente, il giudice ha precisato che questa deve muoversi all’interno di regole ben esplicitate e fare le sue valutazioni in modo ancora più approfondito e rigoroso nel caso delle monete poiché, applicando il vincolo a un esemplare, si rischia di estenderlo a tutta la tipologia: «
Nel caso in esame, detti principi trovano un’applicazione ancora più rigorosa dato che si tratta di cose suscettibili di produzione seriale “per loro natura” ed occorre evitare il rischio che, facendo un’applicazione non ragionevole del criterio in esame, si finisca col vincolare l’intera produzione».
Con queste parole
Filippo Bolaffi, amministratore delegato di Aste Bolaffi, ha commentato la sentenza: «
Sebbene si tratti di una goccia in un oceano rispetto ai continui vincoli imposti dalle soprintendenze, che in maniera soggettiva interpretano la legge a loro uso e consumo, questo è un precedente molto importante. Infatti, per la prima volta, il giudice amministrativo ha edotto i funzionari del ministero ad attenersi ad almeno due regole chiare e oggettive, che prima venivano invece liberamente interpretate dal preposto di turno».
LA STORIA