La nascita di un vero e proprio sistema monetario in Giappone è da ricondurre a Toyotomi Hideyoshi, personalità fondamentale nella storia del paese del Sol Levante. Se fino al V secolo infatti il baratto ha caratterizzato gli scambi commerciali nell’arcipelago nipponico, con i primi rapporti con la Cina viene scoperto anche l’uso della moneta portando a un tentativo di coniazione del tutto analoga a quella cinese. La continua mancanza di materie prime e la divisione interna del paese però non permettono lo sviluppo di questo primo progetto monetario e già nel XII secolo le monete cinesi diventano l’unica vera valuta a circolare in Giappone, e resterà tale fino al XVI secolo, nonostante qualche esperimento locale.
Sarà proprio Toyotomi Hideyoshi, riunificatore del Giappone sotto un’unica guida nonché controllore di svariate miniere d’oro e d’argento, a ripristinare l’uso di una moneta nipponica. Ed è ancora in quest’epoca che compaiono le prime monete d’oro; fino a Hideyoshi l’oro viene utilizzato come forma di pagamento sotto forma di grani o foglie, ma nel 1588 fa la comparsa l’Oban anche conosciuto come Tensho Hishi Oban, che a tutt’oggi è uno dei coni più grandi al mondo e una delle monete più rare: una lastra d’oro ovale, larga 10 centimetri e lunga 17 del peso di oltre 150 grammi.
A partire dal 1601, con l’inizio dell’era Edo, lo Shogun Tokugawa Ieyashu razionalizza il progetto del predecessore ampliando il sistema monetario con l’introduzione di esemplari in oro di taglio inferiore conosciuti come Koban, affiancati da emissioni regolari in argento e bronzo, basando il sistema sull’unità di peso Ryo (circa 16,5 grammi). Le prime emissioni vedono un contenuto d’oro pari all’85%, ma l’inflazione porta a una diminuzione fino al 57% alla fine del XVII secolo durante l’era Genroku. Con l’inizio del nuovo secolo e dell’era Hoei, il titolo torna ai valori iniziali ma vengono ridotte le dimensioni delle monete.
Gli Oban e i Koban sono monete molto lontane dallo stile occidentale per diversi motivi: il primo è sicuramente la forma ovalizzata di questi esemplari (che diventa rettangolare per i tagli più piccoli) unita alle dimensioni. Abbiamo detto del Tensho Oban, ma troviamo anche tagli inferiori delle dimensioni di circa 9x5 centimetri (il Goryoban o 5 Ryo venduto all’asta Bolaffi di giugno 2015) o di circa 7x4 centimetri (Keicho Koban). La seconda riguarda i marchi presenti sulle monete, conosciuti come “Tsuchi Me” letteralmente “occhio”, che manifestano l’autorità di chi emette l’esemplare. Nelle prime emissioni i soggetti dei marchi sono diversi e di fattura grossolana, ma con l’affinamento delle tecniche di incisione compare il fiore Kiri, simbolo ufficiale dell’autorità centrale. Le monete con i marchi su tutti e due i lati sono inoltre più rare. In alcuni casi, sugli esemplari più grandi, è presente anche una scritta in inchiostro nero che ne comprova il valore e la firma della famiglia Goto, i sovrintendenti della zecca, che molte volte risulta essere contraffatta in epoca moderna.
Ma quale funzione hanno questi esemplari? È indubbio che i moduli più importanti sono utilizzati per importanti transazioni commerciali nazionali e internazionali, principalmente beni di lusso o seta dalla Cina, ma anche come omaggi agli alti dignitari dell’Impero, vista la rilevante funzione ornamentale che potevano svolgere. Non è infatti inusuale trovare questi esemplari adattati come gioielli. Nel 1871, dopo un paio d’anni di incontri e conferenze, prende vita la grande modernizzazione di epoca Meiji che rivoluziona l’intero sistema politicosociale giapponese e introduce un nuovo sistema monetario ispirato ai modelli occidentali: compaiono monete col sistema decimale e di forma rotonda, l’attuale Yen. Viene meno in questo modo la funzione dei precedenti esemplari, mentre si conserva la destinazione donativa che tutt’oggi li caratterizza, molte volte attraverso copie ispirate agli originali, vista la rarità di questi ultimi.