FREIE UND HANSESTADT HAMBURG. L'ORGOGLIO DI UNA CITTÀ ESPRESSO DA UNA SPLENDIDA MEDAGLIA


Come accade spesso in numismatica, una medaglia molto particolare sollecita la curiosità, offre l’occasione per approfondire la conoscenza della storia e in definitiva ci fornisce qualche chiave interpretativa in più della realtà odierna.

La medaglia in questione è uno spettacolare esemplare in oro, un Portugalöser da 10 ducati del peso di circa 35 grammi e del diametro di mm. 50, comparso nella recente asta Bolaffi del 7 e 8 giugno 2017.

Gli stimoli all’approfondimento di un simile oggetto sono praticamente infiniti, ma dobbiamo limitarci a trattarne sommariamente solo alcuni.

Il primo è l’autorità emittente: il governo della Libera Città Anseatica di Amburgo, che tuttora all’interno della Repubblica Federale Tedesca ha lo status di autonomia che compete a un Land.

Fin dal secolo XIII Amburgo entrò a far parte della lega anseatica, un’alleanza, costruita sul modello delle poleis greche, fra le città che si affacciavano sul Baltico e sul Mare del Nord con lo scopo di fornirsi mutua assistenza nelle relazioni commerciali. Queste città non erano comprese in un feudo e rispondevano all’Imperatore direttamente e senza l’intermediazione di un feudatario locale: esse erano dunque città libere, libere di cercare il proprio sviluppo attraverso regole da esse stesse determinate. Le tre principali di esse, Amburgo, Brema e Lubecca, mantennero questo status ben oltre la fine della lega anseatica, che, seppure non sia mai stata formalmente sciolta, di fatto cessò di esistere nella seconda metà del secolo XVII quando si manifestarono, in termini di mutamento strutturale del commercio, le conseguenze delle scoperte transoceaniche e della nascita degli stati territoriali e poi nazionali.

Il secondo stimolo che la medaglia ci offre è il suo significato: essa intendeva celebrare le conseguenze positive del trattato di Stettino, concluso nel 1653 fra Svezia e Brandeburgo per la definizione precisa della spartizione della Pomerania, stabilita in linea di principio nella pace di Vestfalia, con la quale cinque anni prima si era conclusa la guerra dei trent’anni. L’importanza per Amburgo di questo evento si comprende osservando la carta geografica e notando che la distanza con Lubecca è di soli 70 km facilmente percorribili, un viaggio agevole per le merci dirette o provenienti da est, incomparabilmente meno rischioso e lungo dell’unica alternativa allora possibile: la circumnavigazione della penisola danese. La pace nell’Europa nordorientale era la condizione indispensabile per consentire la fluidità del traffico commerciale est-ovest, fonte della prosperità di Amburgo.

La terza curiosità è il motivo della coniazione della medaglia e il suo utilizzo possibile. Su questo punto occorre premettere che nel 1619 il Consiglio Municipale della città libera costituì la Hamburger Bank, espressione super partes delle comunità mercantili presenti in città, fra le quali la folta e ricca comunità di ebrei sefarditi, insediatisi nelle città anseatiche, e in particolare ad Amburgo, dopo la cacciata dalla penisola iberica. Fra i compiti assegnati alla banca vi era l’organizzazione e gestione della zecca con l’emissione di moneta corrente e di monete o medaglie destinate a un uso particolare, fra le quali i Portugalöser da 10 ducati (e i mezzi da 5 ducati). Essi avevano la funzione di rendere annualmente omaggio ai titolari di cariche onorarie nella Municipalità, nella Banca e nella Camera di Commercio, oltre che, occasionalmente, alle delegazioni straniere in visita ufficiale alla città e, in genere, di dare particolare risalto e solennità alla conclusione di una transazione economica che la Municipalità riteneva strategica per la città. Si trattava in sostanza di omaggi che non erano direttamente utilizzabili come moneta corrente, ma che erano in essa facilmente convertibili.

Esaminando la medaglia da vicino, troviamo al diritto una spettacolare skyline della città come appariva all’epoca, oggi purtroppo perduta a seguito di un grande incendio che colpì i quartieri più antichi nel 1842, ma soprattutto del bombardamento inglese del 1943, secondo per distruzione solo a quello di Dresda. Nello specchio d’acqua prospiciente alle mura si vedono natanti di ogni dimensione, grandi navi e piccole barche con i loro occupanti, delineati in modo così nitido da consentirci quasi di percepirne le sembianze. Ma la vera sorpresa sta in alto, dove un maestoso padiglione a protezione dello stemma della città, sorretto da due mani che escono dalle nubi, ospita nella parte superiore una scritta in caratteri ebraici che riproduce il nome del Creatore, a testimonianza del ruolo e dell’importanza che la comunità sefardita aveva acquisito ad Amburgo.

Evidentemente, nonostante Amburgo avesse aderito alla riforma, il clima di convivenza fra cristiani ed ebrei non risentiva minimamente delle note posizioni antisemite che Lutero aveva assunto un secolo prima e che sarebbero state invece ignobilmente utilizzate dal nazismo tre secoli dopo. Sul rovescio della medaglia troviamo una scena abbastanza simile, nella quale la città compare sullo sfondo mentre in primo piano si vede l’estuario dell’Elba, la via d’acqua dalla quale Amburgo traeva la sua ricchezza, popolato di navigli, un po’ più radi rispetto all’addensamento rappresentato al diritto davanti al porto, ma altrettanto ricchi di stupefacenti dettagli. Anche in questo caso l’elemento di maggior interesse sta in alto ed è costituito dalla figura femminile, che personifica la Pace, intenta a svuotare su quella via d’acqua il dovizioso contenuto di due cornucopie: l’allusione allegorica ai benefici della pace è immediatamente intuibile.

Una medaglia veramente particolare, che si impone allo sguardo, sia nel suo aspetto generale sia per i dettagli che la compongono, un capolavoro di incisione dovuto a Sebastian Dadler (1586-1657), realizzato nel periodo di maggior fioritura dell’arte barocca in Germania.
Non a caso, questo oggetto così carico di riferimenti e di significati storici è passato di mano per la cifra ragguardevole di 39.000 euro, partendo da una base d’asta già sufficientemente adeguata di 15.000 euro.

di CARLO BARZAN