I MANIFESTI DELLE SECESSIONI TRA RIVOLUZIONE E AVANGUARDIA


Pallade Atena assiste placidamente alla lotta tra Teseo e il Minotauro, uno scontro dinamico e appassionato osservato con sguardo imparziale dalla Dea delle Arti, anche se non ci stupiremmo se sotto sotto tifasse per il bell’eroe. È questo il soggetto del primo manifesto realizzato da Gustav Klimt per pubblicizzare Ver Sacrum, la rivista simbolo della Secessione Viennese. Una scelta forte e di grande impatto: una battaglia simbolica in cui l’artista moderno combatte un ambiente ormai statico e non al passo con la contemporaneità, l’Accademia. Una dichiarazione
d’intenti, affidata a un mezzo espressivo e comunicativo d’eccezione: l’Affiche.
Esempio eclatante questo, ma non è il solo. Difatti, i manifesti realizzati dai Secessionisti sono tra i più significativi del periodo, frutto dell’intuizione geniale di trasmettere un messaggio rivoluzionario grazie a uno strumento particolarmente calzante: la propaganda pubblicitaria. Con l’obiettivo di produrre un’arte universale e collettiva, si colse immediatamente quanta forza sociale il manifesto potesse assumere per la veicolazione d’idee e messaggi, prodotti su una scala nazionale e internazionale. Le Secessioni ebbero un ruolo essenziale per lo sviluppo artistico in generale, oltre al merito di aver influenzato fortemente il panorama tipografico mitteleuropeo tant’è che i manifesti prodotti in quegli anni forniscono tutt’ora un campionario emblematico delle idee e del gusto artistico secessionista, risultando un documento unico e insostituibile nella storia dell’affiche.

Le Secessioni erano movimenti giovani, dinamici, svincolati da dogmatismi e freddi dettami accademici, in cui l’artista s’impossessava di un proprio linguaggio, di un ruolo sociale definito, di una responsabilità comunicativa altra. Proprio in Austria e Germania questi movimenti trovarono il terreno più fertile per il cambiamento: nel 1892 fu Monaco il vero e proprio apripista di questo movimento radicale, nel 1897 anche Vienna venne investita dalle idee antiaccademiche mentre l’anno successivo fu la volta di Berlino. Ma come potevano far risuonare questo messaggio? La risposta arrivava da Parigi, la città faro, catalizzatrice di un dinamismo culturale irresistibile che investiva anche la comunicazione: era appunto la città dove nacque il manifesto, ça va sans dire.

La produzione di affiche dei circoli Secessionisti, come è emerso in occasione dell’asta di Arti del Novecento della nostra maison, continua ad avere un incredibile appeal nell’ambito del collezionismo internazionale. Non stupisce affatto che il piccolo nucleo andato all’incanto abbia attirato così tanti appassionati: si tratta difatti di vere e proprie dichiarazioni d’intenti in chiave grafica, realizzate da grandissimi autori. Non si può di certo non apprezzare la musa dell’arte ritratta da Schulz, o non riconoscere il palazzo della Secessione realizzato da Jettmar. O ancora evitare di indugiare nello sguardo liquido e malinconico di Kokoschka, uno dei giovani allievi di Klimt, ribelle tra i ribelli, sempre più proiettato verso una deriva espressionista che si libera dei simboli per diventare emozione pura, scabrosa e psicotica.

È la stessa interiorità che emerge nell’ultimo manifesto secessionista realizzato da Egon Schiele, che si raffigurò seduto a un tavolo attorniato dai colleghi artisti per enfatizzare la solidarietà che era parte integrante del gruppo, dando origine a un’immagine via via più intimista e affine al suo stile e al suo mondo interiore. Un mondo mutato, che rispecchia quello segnato dalla Grande Guerra, in cui anche gli artisti iniziavano a interrogarsi sul nuovo corso da intraprendere. Proprio in questo manifesto, l’ultimo che realizzò, Schiele gettò le basi per il passaggio del testimone alle moderne Avanguardie.
di Francesca Benfante

IL DIPARTIMENTO