IL VESUVIO À LA GOUACE


Una serie di gouaches ottocentesche che rappresentano  il Vesuvio in eruzione di notte  proposte  nell’asta primaverile di arredi e dipinti antichi hanno ottenuto un buon incremento di valore rispetto alle basi d’asta. Si tratta di un soggetto rivisitato in maniera seriale e popolare a tal punto da divenire icona  già dagli anni appena successivi alla Restaurazione e che ha sempre e continua a riscontrare consenso da parte  dei collezionisti: dal boom  degli anni Sessanta del Novecento  a oggi, nonostante la crisi del mercato antiquariale.
 
A partire dal 1631, quando il vulcano si risveglia, il Vesuvio diventa l’immagine icona della città di Napoli. Le sue eruzioni infatti attraggono studiosi e visitatori da tutto il mondo. Dapprima rappresentato  a fini devozionali con San Gennaro accanto alla sua cima, in seguito in quanto tappa obbligata del Grand Tour, (insieme naturalmente alle rovine di Ercolano  e  di Pompei),  celebrato  da  un gran numero  di pittori stranieri di fama riconosciuta. Claude-Joseph Vernet, Hubert Robert, Jean-Honoré Fragonard stabiliscono dei nuovi canoni iconografici per la rappresentazione  del Vesuvio e dei suoi dintorni che semplificati divengono i modelli di riferimento nel secolo successivo, nella produzione più
artigianale che comprende anche i lotti in oggetto.
 
Sul finire del Settecento  fu il tedesco Jacques Philipp Hackert (1737-1807)  che riportò in auge a Napoli la tecnica à la gouache (in italiano: guazzo). Ma fu Pietro Fabris (doc. 1754 – 1779) che utilizzò la tecnica à la gouache in una serie di rappresentazioni del Vesuvio in eruzione eseguite su commissione di Sir William Hamilton (1779),  come  supplemento  di cinque tavole  all’opera Campi Phlegraei, Oservations on the volcanos of two Sicilies. Infine il francese Pierre Jacques Volaire (1729 – 1802?) contribuì a introdurre il tema delle eruzioni in notturno, realizzate con l’uso di rossi, arancioni e di cieli scuri con figurine appena abbozzate in primo piano. La produzione di vedute notturne del Vesuvio à la gouache su larga scala con una sensibilità di tipo per così dire più popolare, si diffonde in quegli stessi anni, a grande richiesta da parte dei colti viaggiatori del Grand Tour. Le gouaches essendo eseguite più spesso su carta (ma talvolta anche su seta o su pergamena) erano facilmente trasportabili ed erano in grado di soddisfare le esigenze di quegli stranieri che volevano avere anche solo un piccolo ricordo della città, non troppo impegnativo, che per esigenze di spazio e di peso doveva essere di piccole dimensioni. Dovevano raccontare per immagini con un’esecuzione veloce quasi compendiaria il momento dell’eruzione.
 
La tecnica del guazzo non lontana come risultato, ma senz’altro più economica di quella ad olio, pur avvalendosi come la tempera dell’acqua come solvente di base, si differenzia da quest’ultima per l’aggiunta di gomme (arabica, del Senegal, gomma lacca).  Questi collanti servivano a fare aderire meglio il pigmento  al supporto generalmente di carta. Altra differenza dalla tecnica a tempera è che il guazzo si serve del bianco diluito con acqua, che insieme ai pigmenti e al collante, genera un effetto di opacità diffusa. Perciò i colori appaiono vellutati e quasi tridimensionali, inoltre  essiccandosi molto  velocemente  non  permettono   pentimenti.  Pertanto l’esecuzione deve essere veloce e immediata. Il supporto più comune è, come si è detto, la carta ruvida o liscia, di varie dimensioni ma più le più frequenti sono di cm 40x26. Generalmente le gouaches presentano un margine o passe-par-tout grigio o nero sul quale spesso viene scritto il titolo del soggetto rappresentato. 

I più fini artigiani, entrambi attivi a Napoli, furono sul finire del secolo XVIII, Saverio della Gatta (doc. 1777-1827) e Alessandro  d’Anna (doc. 1779 – 1810). A questi ne seguirono innumerevoli altri tra i quali appunto gli autori delle opere in oggetto quali Camillo de Vito (attivo fine XVIII prima metà XIX) Gioacchino La Pira (doc. 1839 –1870). Il primo è verosimilmente l’autore dell’opera che rappresenta l’eruzione del 1830 (lotto 367), il secondo, attivo nella seconda metà dell’Ottocento, rappresenta le eruzioni del 1812 e del 1839 (lotti 369, 370). Di un anonimo  sono  i  lotti  365 e  366 che  descrivono  la celebrata l’Eruzione del 1794 che distrusse Torre del Greco dalle fonti dell’epoca
così menzionata: [...] si vedeva alla base del Vesuvio un maestoso fiume di fuoco, di due miglia di lunghezza e un quarto di miglia di larghezza [...] verso la sor- gente di questo fiume di lava seguivano continuati e altissimi getti di materie infuocate [...] e alla di lui fine si vedeva il lugubre spettacolo  del- l’incendio della Torre (S. Breislak, A. Winspeare, Memoria sull’eruzione del Vesuvio accaduta la sera de’ 15 giugno, Napoli, 1794).

Tutte le rappresentazioni di questo tipo condividono il senso della descrizione del fenomeno  naturale che è poi una categoria estetica  di origine illuminista: vale a dire il Pittoresco. Così come anche lo è il Sublime cioè l’idea della potenza della Natura rispetto all’essere umano, sempre sovrastato dal cosmo e dalla sue leggi imperscrutabili (Cfr.: Gouaches napoletane del Settecento e dell’Ottocento, catalogo della mostra, Museo Pignatelli, dicembre 1985, febbraio 1986, Napoli Electa 1985).   Senso del Sublime che stiamo sempre più perdendo  visto che la Natura tentiamo  di dominarla e annullarla in tutti  i modi e forse proprio per questo la ricerchiamo nelle opere antiche anche se come immagine icona.