La passione collezionistica si esercita in genere su beni destinati a un certo uso e che, passato il tempo e resasi impossibile o difficile o inopportuna la loro funzione originaria, attraggono l’interesse per il loro significato storico o anche semplicemente per il loro valore evocativo. I beni collezionistici hanno dunque una prima vita, che è quella del loro uso per gli scopi pratici per i quali sono stati prodotti, e una seconda vita, potenzialmente anche più interessante della prima, quella che essi vivono dentro le collezioni. Nella prima vita la funzione pratica delle monete è ben nota: quella di essere lo strumento indispensabile per consentire gli scambi commerciali. è evidente che la loro prima vita è fortemente influenzata dal valore nominale: è probabile che una moneta di rame, di valore nominale basso, abbia avuto una prima vita molto vorticosa, ma limitata a un territorio ristretto, una moneta d'argento, di valore nominale medio, una prima vita con meno passaggi di mano, più tranquilla, ma anche più avventurosa quanto a spostamenti, e infine una moneta d'oro, di valore nominale alto, una prima vita in genere molto tranquilla e legata a transazioni di tipo patrimoniale, anche se in molti casi con spostamenti territoriali importanti. Poiché sulle monete non resta traccia dei passaggi di mano, la fantasia può correre a briglia sciolta su entrambe le loro vite, ma la seconda vita, o almeno parte di essa, per gli esemplari di valore commerciale medio/alto è scandita dalla documentazione che a ogni passaggio è eventualmente divenuta pubblica ovvero è desumibile da annotazioni del collezionista.
Per comprendere meglio il fenomeno e valutarne tutte le implicazioni è opportuno esaminare un paio di casi, che abbiamo ricavato dall'attività numismatica di Aste Bolaffi. Il primo esempio è rappresentato da un Aureo di Galeria Valeria, di grande rarità e in eccezionale stato di conservazione, comparso nell'asta Bolaffi del 4 e 5 dicembre 2014, che, proposto a una base di 50.000 Euro, ne ha realizzati 103.200. Galeria, figlia di Diocleziano e moglie di Galerio, Augusto in Oriente dal 305 al 311 d.C., visse nella parte orientale dell’Impero e, caduta in disgrazia dopo la morte del marito, fu condannata a morte da Licinio e barbaramente trucidata nel 315 d.C. a Tessalonica, l’attuale città greca di Salonicco. L’Aureo fu coniato a Siscia – oggi Sisak (Croazia) – negli anni 308-309 d.C. e il suo stato di conservazione lascia immaginare che la sua prima vita non sia stata molto travagliata: è probabile che esso facesse parte di un pagamento importante a un fornitore dello Stato, o dello stipendio di un funzionario civile o militare di altissimo rango, e che sia stato tesaurizzato già al suo primo passaggio, per poi sparire della circolazione. Lo ritroviamo, nella sua seconda vita, quando entrò a far parte della collezione di Hyman Montagu (1844- 1895), avvocato londinese di origine ebraica specializzato in diritto fallimentare ed eminente numismatico del suo tempo. Dopo la sua morte la collezione fu affidata a Rollin & Feuardent, la principale casa d’aste numismatica francese dell’epoca, che la mise in vendita il 20 aprile 1896 a Parigi con un catalogo divenuto oggi una rarità bibliografica ricercatissima. In quella vendita l’Aureo di Galeria, insieme a molti altri, fu acquistato da John Durkee, diplomatico statunitense di stanza all’ambasciata di Parigi e collezionista di altissimo livello. Durkee morì prematuramente all’inizio del 1898 nel naufragio del transatlantico che lo riportava in Europa e la sua splendida collezione pervenne per lascito ereditario al Metropolitan Museum di New York. All’inizio degli anni ‘70 del novecento il Metropolitan, nell’ambito di un processo di riorganizzazione delle sue collezioni, decise di alienare un complesso di monete romane e greche, che furono affidate per la vendita alla Sotheby’s. Fra esse l’Aureo di Galeria che stiamo inseguendo fra Londra, Parigi e New York e che ritroviamo ora a Zurigo, il 10 novembre 1972, nel catalogo della vendita degli Aurei romani del Metropolitan. Attuale, ma non definitiva, ultima tappa di questo viaggio, il passaggio da Aste Bolaffi citato proprio all’inizio.
Facciamo ora un salto di una dozzina di secoli dai tempi di Galeria Valeria Augusta e ci ritroviamo a Roma, durante il papato di Clemente VII (1523-1534), per incontrare il secondo esempio di una moneta dalla doppia vita. Si tratta di un Doppio Fiorino di Camera, raro e splendidamente conservato, comparso nell’asta Bolaffi del 6 e 7 dicembre 2012, che, proposto a una base di 1.500 Euro, ne ha realizzati 5.040. Clemente VII, al secolo Giulio Zanobi nato a Firenze nel 1478, era figlio naturale di Giuliano de’ Medici, ucciso nella congiura dei Pazzi un mese prima della sua nascita. Lorenzo il Magnifico, fratello di Giuliano e scampato per poco alla morte in quella circostanza, legittimò il nipote e lo prese sotto la sua protezione. Nel 1513 il cugino Giovanni de Medici, divenuto papa con il nome di Leone X, lo nominò Arcivescovo di Firenze e Cardinale, aprendogli la strada della Curia romana, nella quale assunse molti incarichi di natura diplomatica, divenendo uno dei protagonisti principali della politica europea di quegli anni, fino all’elezione al soglio pontificio. Il Doppio Fiorino fu coniato a Roma nei primi anni del pontificato di Clemente VII, come si desume da un segno di zecca che compare anche su monete di Adriano VI, il papa precedente, nonché della Sede Vacante fra i due papi. In considerazione sia del fatto che si tratta di un nominale elevato, e per questo motivo non molto gradito nella pratica commerciale, sia del suo stato di conservazione che manifesta chiaramente la sua scarsa utilizzazione come strumento di pagamento, possiamo supporre che nella sua prima vita sia stato utilizzato come donativo dal papa stesso o da un alto prelato di Curia e conservato come prezioso ricordo, probabilmente fuori Roma, poiché, diversamente, difficilmente si sarebbe salvato dal sacco del 1527. Non sappiamo dove il “nostro” Doppio Fiorino abbia trascorso i secoli che ci separano dai tempi di Clemente VII; sta di fatto che la sua seconda vita è documentata a partire dal novembre 1962, quando si svolse la vendita all’asta XXIV della Münzen und Medaillen AG di Basilea, uno dei più importanti operatori numismatici mondiali del novecento. Insieme alle due altre successive, che si svolsero nel 1963 e 1964, tale vendita riguardava il complesso della collezione di Dimitri Dolivo, un pediatra svizzero, eminente numismatico, stabilitosi a Losanna nel 1920 e deceduto nel 1961. Il dr. Dolivo, come denuncia chiaramente il suo nome, apparteneva a una famiglia di origine russa, trasferitasi in Germania poiché il padre, sospettato di simpatie liberali, fu costretto all’esilio nel 1881, dopo l’uccisione dello zar Alessandro II.
Probabilmente anche in ragione di queste origini familiari, la collezione del Dr. Dolivo spaziava su gran parte della numismatica europea, e in particolare su quella italiana, alla quale sono dedicate due delle tre vendite, una solo per la monetazione papale e l’altra più generale, ma con un capitolo dedicato alla numismatica medioevale del Piemonte tuttora considerato uno dei più completi mai apparsi in asta pubblica. La vita collezionistica del Doppio Fiorino, nel mezzo secolo intercorrente fra la vendita del 1962 e il passaggio da Aste Bolaffi citato in precedenza, si svolge all’interno di una collezione importante sia per qualità e quantità di presenze, sia per la personalità del collezionista. è ovvio che una vita collezionistica lunga e interessante aumenta l'attrattività e quindi il valore commerciale di una moneta, per cui la capacità di ricostruire il suo pedigree collezionistico costituisce una delle competenze principali di una casa d’Aste. Volutamente in questa breve carrellata di vicende storiche, di collezioni e di collezionisti non si è parlato delle monete in se, in quanto oggetti: non che l’argomento non vada trattato, anzi, la numismatica è, in primis, studio, analisi e descrizione dell’oggetto monetale, ma non è solo questo. Se si approfondisce il discorso inseguendo le monete nei loro vari passaggi, solo supposti o documentati con certezza, si aprono continuamente nuovi orizzonti e l’oggetto si anima, sollecitando la fantasia a richiamare atmosfere lontane nello spazio e nel tempo.
Di Carlo Barzan