I dagherrotipi sono le immagini più misteriose e preziose dell’Ottocento. Pochi sanno che sono le prime fotografie mai realizzate nella storia dell’umanità. Questa scoperta, fatta dal francese Louis Daguerre nel 1839, cambierà per sempre le sorti della percezione visiva. Come l’invenzione dei caratteri mobili vedrà la diffusione della scrittura, dei libri e dei giornali così l’invenzione della fotografia permetterà la nascita del cinema e l’attuale impiego dei selfie. I dagherrotipi erano lastre di rame ricoperte da un amalgama di argento e mercurio; fotografie difficili da osservare perché, a seconda dell’inclinazione della luce, apparivano ora in positivo ora in negativo, veri e propri specchi dotati di memoria. Per questo erano immagini uniche e non riproducibili, come avverrà più tardi con il sistema negativo positivo. La coloritura di queste lastre era quanto mai complessa: si doveva infatti ricorrere alla fiamma di una candela per riscaldare la lastra, sopra la quale si poneva un’impalpabile polvere di pigmenti colorati. Il dagherrotipo sarà il punto di partenza della ricerca in campo fotografico volta a migliorare i propri prodotti per ottenere immagini di qualità superiore e ovviare alla bidimensionalità che imponeva un supporto piatto. L’introduzione di immagini stereoscopiche colorate ha permesso un ulteriore passo in avanti per migliorare l’illusione realistica. La stereoscopia permetteva infatti di poter osservare le fotografie ottenendo una visione tridimensionale: due immagini apparentemente identiche venivano affiancate secondo la distanza media focale dei nostri occhi e una successiva visione attraverso uno speciale visore permetteva di ricomporre le doppie immagini in un’unica fotografia tridimensionale. Una tale raffinatezza di esecuzione era riservata solo a immagini di particolare pregio. Le serate di metà Ottocento della buona borghesia erano spesso allietate dallo stereoscopio, grazie al quale adulti e bambini potevano rivedere luoghi esotici o personaggi famosi. Dal suo inventore in avanti, i francesi sono sempre stati i maestri della dagherrotipia. Nel catalogo dell’asta di fotografia del 17 maggio Aste Bolaffi presentava un gruppo di preziosi dagherrotipi stereoscopici attribuiti a Félix Jacques Antoine Moulin, autore specializzato in nudi femminili, oggi quanto mai casti, ma all’epoca immagini osé che costituivano un segreto souvenir di impeccabili uomini d’affari di ritorno dalla capitale francese. I dagherrotipi venduti da Bolaffi, ritrovati in una casa di campagna, erano infatti conservati all’interno di una scatola di sigari che permetteva di nascondere tali immagini, all’epoca ritenute scabrose. I sei dagherrotipi ritraevano fanciulle senza veli ritratte in interni minuziosamente decorati con broccati e caratterizzati da un elemento, lo specchio, che rifletteva le morbide forme delle giovani donne in un sensuale gioco di rimandi. Questi nudi, ai nostri occhi garbati ritratti velati di sensualità, erano all’epoca immagini clandestine, che costarono al fotografo un mese di prigionia. Nel 1851 Moulin venne infatti condannato, secondo le carte processuali, per “immagini così oscene da non poterne neppure pronunciare il titolo”.
di Silvia Berselli