LE MOLTEPLICI LETTURE DI UN RITRATTO


Da sempre il ritratto mira a restituire con una rappresentazione visiva l’intensità e la complessità di un soggetto, fermando il trascorrere del tempo in un preciso istante. Esso, nella lunga evoluzione dell’arte, offre all’osservatore un’immagine filtrata dalle qualità dell’artista che lo spettatore interpreterà secondo la propria sensibilità. Quello che il pittore o lo scultore potevano realizzare in lunghe sedute e lavorazioni interminabili la fotografia azzera in un preciso istante. L’arte del Novecento supera il concetto di verosimiglianza nel ritratto, non accontentandosi del semplice aspetto documentale, lasciando invece ampio campo all’emotività e all’interpretazione. D’altro canto l’affermarsi degli studi di psicologia rende chiaro quanto la produzione del ritratto sia legata all’interiorità dell’artista e il volto dell’altro non sia altro che lo stagno di Narciso in cui l’autore cerca se stesso. La tecnica fotografica, se semplifica la realizzazione pratica del ritratto, aggiunge complessità all’atto della creazione ora filtrato dall’obiettivo di una macchina.

Richard Avedon, uno dei più grandi ritrattisti dei nostri tempi scrive nella prefazione al volume In the American West “Per realizzare l’immagine un fotografo ritrattista dipende da un’altra persona. Il soggetto immaginato, che in un certo senso sono io, deve essere svelato in qualcun altro, disposto a partecipare a una finzione di cui probabilmente non è a conoscenza. Le mie visioni non sono le sue. In rapporto all’immagine, abbiamo ambizioni distinte. Probabilmente la sua esigenza di difendere il proprio punto di vista è forte quanto la mia, tuttavia sono io ad avere il controllo”. Da cosa dipende quindi la buona riuscita di un ritratto fotografico? Certamente dallo stupore che l’autore riesce a trasmettere allo spettatore che potrà cogliere in quell’unica immagine condensata la lunga storia che ogni personaggio racchiude in sé. Marilyn Monroe, indubbiamente una delle donne più fotografate del Novecento, “ha la capacità di dipingere l’immagine all’interno della macchina fotografica” ricorda David Conover, e sicuramente i migliori ritratti della diva restano quelli dove siamo catturati dalla sua interiorità tormentata, che solo grandi fotografi come Richard Avedon o Bert Stern hanno saputo cogliere. Nel ritratto di Stern, Marilyn in un avvolgente abito Dior è una sagoma nera, il volto reclinato appena riconoscibile, non certo la diva spavalda degli scatti giovanili, sex symbol dallo sguardo ammiccante. In questa fotografia Stern ha saputo restituirci il fascino indiscusso di Marilyn con una nota di sensualità e femminilità malinconica che rendono la donna un’icona intramontabile. La sorpresa può arrivare anche da uno scatto duro, diretto, come il ritratto di Marlon Brando di Mary Ellen Mark realizzato durante le riprese del film Apocalypse Now. Gli occhi magnetici dell’attore fissano lo spettatore che non può non avere un balzo di ribrezzo nel riconoscere un insetto nero appoggiato sulla sua testa rasata, certamente un simbolo della drammaticità della pellicola cinematografica. Un ritratto riuscito può essere anche quello dove il viso della persona è nascosto o non visibile mentre la sua personalità è messa in risalto da altri dettagli che lo spettatore è invitato a scoprire. L’arte si rinnova, si trasforma e lo stesso fare artistico assume nuove sembianze e si muove oltre i confini già segnati. Lo spazialismo, di cui Lucio Fontana è maestro indiscusso, pone il gesto alla base dell’opera come definizione e costruzione dello spazio. La fotografia può quindi aiutare l’artista a bloccare il gesto che è spazio in una dimensione temporale conosciuta.

Ugo Mulas aveva a pieno compreso la complessità del mondo artistico degli anni Sessanta e ne era diventato interprete privilegiato, vivendo a contatto con gli artisti e condividendone il pensiero. Nella serie degli scatti dedicati al taglio di Fontana il volto del maestro è sempre nascosto, in secondo piano, mentre la mano resta centrale in ogni immagine, quale vera interprete del fare artistico. Se si vuole sottolineare l’importanza del dettaglio a scapito del volto in molti dei più noti ritratti della storia della fotografia, si deve ricordare lo scatto di Cornell Capa che “ritrae” John Kennedy. Cornell, fotografo assai meno noto dell’ eroico reporter Robert, aveva seguito la campagna presidenziale di Kennedy ritraendolo spesso circondato da mari di folla. Ma lo scatto che ha dato notorietà a questo autore è certamente quello che ritrae la grande sedia scura presidenziale che ha quasi la totalità del campo visivo con una sola piccola finestra sul tavolo ingombro; che si tratti di Kennedy lo sappiamo per la piccola etichetta sulla sedia e per un ciuffo di capelli che si stagliano sullo sfondo chiaro del muro. Lo scatto ci trasmette un senso di isolamento e di solitudine di quell’uomo che di lì a poco sarebbe stato trucidato e la sedia diventa così una simbolica bara. L’intelligenza visiva del fotografo si riassume quindi nel riuscire in pochi attimi a cogliere l’essenza del personaggio, ricorrendo a elementi anche secondari, ma sempre utilizzando l’obiettivo come filtro della propria sensibilità.

Di Silvia Berselli