Nel sistema costituzionale della repubblica di Venezia, il Doge era nominato a vita e aveva privilegi di tipo regale. Fra i privilegi del Doge vi era la riserva di caccia in alcune zone del territorio dello stato, ma egli aveva l’obbligo, inizialmente solo morale, di condividerne i frutti con i membri del Maggior Consiglio e in genere con le autorità della repubblica. A partire dal Secolo XIII questa condivisione fu codificata e i Dogi, nella Promissione Ducale che pronunciavano solennemente in pubblico all’atto dell’assunzione della carica, furono tenuti a specificare che avrebbero provveduto annualmente a disporre un donativo costituito da anatre selvatiche, frutto molto ricercato della cacciagione in una zona di laguna che era loro riserva di caccia.
Nella Promissione, le anatre erano definite con il termine dialettale di “mazzorini” e veniva anche precisato che esse dovevano essere “oselle” - altro termine dialettale che indicava genericamente gli uccelli femmina – preferite, per il gusto più delicato, dai raffinati palati della nobiltà veneziana.
Tuttavia, aumentata la platea dei beneficiari e ridottasi la disponibilità di anatre selvatiche, divenne sempre più difficile per il Doge rispettare l’impegno alla lettera e coloro che restavano senza anatra ricevevano un donativo in denaro, pari al va- lore commerciale dell’anatra stessa; tale pratica sollevava tuttavia grandi proteste, perché ritenuta lesiva della dignità dei riceventi, quasi che essi fossero destinatari di un’elemosina.
Poiché il fenomeno non accennava a diminuire e anzi le “oselle” tendevano a rare- farsi sempre più, si iniziò a pensare di risolvere il problema istituzionalizzando per tutti il donativo in denaro in luogo dei tradizionali mazzorini.
Tuttavia si voleva che il donativo conservasse per intero il suo significato originario e quindi si stabilì che esso fosse costituito da una coniazione apposita di tipo celebrativo e con caratteristiche del tutto proprie, ma alla quale veniva assegnato, per peso e titolo del metallo, il valore di un quarto di Ducato d’oro, che corrispondeva al valore commerciale di un mazzorino. Dovendo avere tali caratteristiche, la conia- zione non poteva che avvenire in argento, poiché, se realizzata in oro, essa avrebbe prodotto monetine molto piccole e di peso inferiore al grammo.
A questo punto, morto il Doge Leonardo Loredan, nel periodo di sede vacante durante il quale si procedeva al complesso sistema di votazioni per individuare il suo successore, il Maggior Consiglio, con decreto in data 28 giugno 1521, stabilì la sostituzione del donativo in natura con quello di una moneta, alla quale, per sot- tolineare ulteriormente il legame con l’antica usanza, fu assegnato il nome “Osella”. Ad Antonio Grimani, il Doge successivo, non rimase altro che assumere tale obbligo, introducendolo nella Promissione di inizio mandato. Così avvenne per tutti i Dogi successivi, fino a Ludovico Manin, ultimo Doge della Serenissima, che coniò l’ultima Osella nel 1796, anno precedente alla definitiva caduta delle istituzioni autonome di Venezia, nella forma in cui si erano sviluppate per circa un millennio. Attraverso queste vicende dal sapore leggendario è nata la serie delle 275 Oselle annuali, che ci consente di gettare lo sguardo sugli av- venimenti e sulle vicende politiche veneziane, poiché, nel corso degli anni, la semplice leggenda del rovescio che caratterizza- va le prime Oselle e le qualificava come dono del Doge, fu sostituita da raffigurazioni allegoriche di genere vario, che a quegli avvenimenti e a quelle vicende alludevano.
Nella prossima asta Bolaffi di inizio dicembre sarà posta invenditaunacollezionedialcuneOsellesignificativaper la qualità. Molte di esse, anche quelle di qualità migliore, presentano tracce di appiccagnolo o montatura. Ciò non influisce più di tanto sul loro valore poiché la natura di donativo dogale delle Oselle e la singolarità delle raffigu- razioni che vi compaiono, inducevano quasi sempre i rice- venti a utilizzarle come ornamento personale e pertanto quasi tutti gli esemplari giunti fino a noi presentano quel tipo di difetti. In ordine cronologico troviamo l’Osella del primo anno di dogato di Marcantonio Giustinian (1684-1688), con la sua splendida raffigurazione di Piazza San Marco e dello specchio d’acqua antistante popolato di navigli, e quella del quinto anno di Alvise III Mocenigo (1722-1732), che presenta un fifiabesco galeone in navigazione nel canale della Giudecca. Segue
l’Osella del nono anno di Francesco Loredan (1752-1762), accuratissima rappresentazione – che si può defifinire nello stile del coevo Giovanni Antonio Canal, il celeberrimo Canaletto – della torre dell’orologio, così come ancora oggi la vediamo fregiare il lato nord di piazza San Marco. L’ultima Osella di questa piccola galleria anticipatrice è quella, curiosissima, del quarto anno di Alvise IV Mocenigo (1763-1779), nella quale la tigre d’Africa e il leone di San Marco si fronteggiano in atteggiamento pacifico, ma entrambi consapevoli della propria forza; in quell’anno, dopo lunghi conciliaboli diplomatici, era stato trovato un acco- modamento fra la Serenissima e i Bey arabi del nord africa, sulle cui coste avevano le loro basi i vascelli corsari – veloci e guizzanti come tigri – che i infastidivano le grandi navi commerciali veneziane – solide e di stazza maggiore come leoni.
A inizio dicembre si apre dunque una breve stagione di caccia dei mazzorini: dopo anni di placida sosta nella laguna del collezionista che li ha messi insieme con tanto amore, essi spiccheranno il volo verso altre lagune. Siamo certi che gli appassionati cacciatori stiano già annodando le reti con le quali catturarli, sarà una bella lotta, e vinca il migliore.
Di Carlo Barzan
Carlo Barzan